L’INDEGNO – UN RACCONTO DI GIGI MORELLO

Un racconto di Gigi Morello

“Le regole devono essere osservate, non esisterebbe ordine senza le regole” si disse l’HauptBahn Fuhrer subito dopo avere impartito l’ennesimo ordine.

E nel sistema nel quale si trovava, in un’Ordine che era allo stesso molto presente ed evanescente per i più, questa era l’unica verità sulla quale aveva dovuto credere e che lo aveva traghettato negli anni quasi fosse un fantoccio che non desiderava ormai più interrogarsi su niente. Un fantoccio con una missione e con la forza per compierla.

I volti avevano finalmente smesso di avere dei contorni definiti per trasformarsi infine nell’unico connotato che dovesse essere riconoscibile da un eletto con dei compiti precisi come i suoi. 

Il Volto del Nemico. 

Quando aveva confessato questo suo nuovo modo di vedere le cose, quasi fosse un immenso difetto, al suo superiore in visita alla stazione di carico era stato ricompensato da una pacca sulla spalla di incoraggiante riconoscimento.

Questa sua incapacità di vedere fattezze umane in un contingente umano che era una grande macchia di carne, lacrime e sporcizia, secondo il Generale Falkhaus era un sintomo del fatto che aveva iniziato a vedere la via del Sole Nero.

Quello che non aveva detto al Gerarca sovrappeso era però importante. Era qualcosa che ancora rimaneva nel suo cuore che ormai era più impenetrabile delle placche che indossavano i guastatori  per difendersi dall’eventuale scoppio delle mine che piazzavano. Mine piazzate diabolicamente attorno all’unica via che doveva portare gli Ebrei dai treni verso il campo. L’unica via concessa agli indegni.

I suoi Treni. I cavalli meccanici guidati dai cavalieri dell’apocalisse Ariana, inesorabili portatori dell’oscura Luce. I treni che portavano un peso che presto non sarebbe più esistito. “Heil Hitler” pensò senza convinzione ma con forza.

Il suo segreto era semplice. Non l’aveva mai confidato a nessuno. Affiorava ogni tanto nel corso degli anni di anni di duro lavoro senza domande. Prepotente ma subdolo da infilarsi ed affiorare anche nei pochi momenti nei quali si illudeva di avere trovato un attimo di pace. 

Non era proprio una macchia indistinta quella che vedeva ormai in ogni bambino che inconsapevolmente scendeva dal Treno pensando di avere finito di soffrire la parte più dura. Il Viaggio.

Era il viso di un Bambino.

Era un viso del Bambino. 

Conosceva bene quel bambino. Ci aveva giocato insieme quando i colori erano vivi e le cose erano simili anche se del tutto differenti. Quando un bambino ariano poteva giocare con un bambino ebreo e a turno uno comandava, l’altro obbediva, uno era il cattivo, l’altro era il buono in una fratellanza virtuale nella quale la subordinazione era un gioco che dava gioia ad entrambi. Perché erano uguali e intercambiabili negli infiniti ruoli che creavano.

Ma gli anni erano passati e di bambini ce ne erano stati molti. I bambini diventavano grandi e alcuni bambini non dovevano diventare grandi. Anche per il loro stesso bene. Non ne sono degni.

Ma quel bambino che affiorava nei visi degli altri sorrideva. Non sembrava rimproverarlo per alcunché. Che forse avesse capito che nel grande disegno in cui un bimbo era solo una misera pedina le azioni del Reich erano corrette?

Più se lo diceva, più il sorriso del bimbo appariva a mandargli un segnale, un’interpretazione che non riusciva a penetrare, nonostante qualsiasi significato dovesse dargli. Razionale o spirituale.

“Se fossi veramente in errore non mi sorriderebbe” si disse il Colonnello. Ma anche questa spiegazione in qualche modo suonava stiracchiata, come le giustificazioni di chi non voleva morire quando il suo momento era stato deciso.

Quando Lui lo decideva.

Avere il potere di vita e di morte è una sensazione inebriante. Gliela avevano spiegata come una sensazione “divina” che solo un vero iniziato ha diritto di provare, nel suo corso di addestramento, più precisamente alla cerimonia della quale non doveva parlare con nessuno, nemmeno con gli stessi membri delle SS. Nemmeno con gli stessi iniziati della Confraternita.

“Per ogni vita indegna che toglierai dalla terra donerai al reich un Raggio dello Schwartz Sonne, e una vita tornerà a riplasmarsi nell’universo degli eroi”, siine fiero perché tu sei la Lancia del Destino” gli aveva detto quella persona nel cerchio, quella persona che era tanto piena di forza da incutere timore al solo pensiero di contraddirlo in qualsiasi modo.

“Il vero potere”, gli aveva spiegato quello che era una sorta di secondo in comando, anche lui vestito con una tonaca Nera “sta nel non mostrare alcuna via di uscita razionale. Non lasciare intravedere nessuna via di scampo. Che nessuno possa mai pensare che qualsiasi tipo di comportamento potrà salvarlo dalla morte. 

E’ indifferente che lui faccia quello che crede che Noi vogliamo oppure no. Sii imprevedibile. Qualsiasi cosa che Lui possa fare saremo Noi, intermediari di Dio in terra, gli eletti con cui il Vero Dio Viaggia, che decideremo se ha diritto di vivere oppure no” “Perché il potere divino è superiore a qualsiasi menzogna del Dio impostore del Popolo di David.”

In due parole aveva capito che dovevano morire. Che tutti gli Ebrei dovevano morire. Aveva capito che anche lui sarebbe morto se non li avesse uccisi, ma che almeno non sarebbe morto se avesse eseguito gli ordini, privilegio che almeno i membri dell’ordine avevano se si fossero mostrati fedeli a Colui che è tornato ad essere, ma che non ha mai smesso di esistere.

Ma anche di quello non era perfettamente sicuro. Troppe volte qualcuno moriva senza che lui potesse capirne la ragione. Anche tra le stesse SS. 

Forse l’avrebbe capito a tempo debito. Quando il viso del bimbo sorridente avesse finalmente lasciato spazio ad una macchia indistinta, donandogli un po’ di pace.

Poi l’ordine.

I tempi si affrettavano. I campi stavano venendo smantellati. Non bisognava lasciare traccia della Grande Opera. Il Mondo non era pronto per capire.

Alcuni eletti erano stati scelti per cancellare le tracce di quello che era il lavoro che doveva essere compiuto.

L’ordine era talmente vago da essere chiarissimo. 

I treni dovevano essere “svuotati” ma i campi non potevano operare. Ad alcuni il compito di risolvere. Per la prima volta c’era un appello che sembrava una supplica, un messaggio “gentile” affinché chi poteva capire capisse quale era la missione che si doveva portare a termine. Le comunicazioni erano compromesse. I veri iniziati sapevano quello che avrebbero dovuto fare.

Lui sapeva.

Lui sapeva ma non voleva. 

Non voleva ma doveva.

Doveva e fece.

Il viaggio con il treno all’indietro, verso il punto da cui era partito fù breve. Alcuni soldati ridevano alle grida di gioia degli indegni che vedendo il treno tornare indietro pensavano di tornare a casa. Appoggiandosi alle vanghe che portavano a fianco dei Mitra facevano battute che il Colonnello non voleva ascoltare.

Nei pressi di un monticello sulla destra delle rotaie fece fermare il treno e ordinò ai suoi soldati di cominciare a scavare. Il luogo era abbastanza distante dalle stazioni che lo precedevano e lo seguivano e sarebbe servito al compito. 

La buca doveva essere lunga e abbastanza profonda, in modo da non essere subito individuata, almeno non trovata se non ricercata appositamente. E non ci sarebbero stati testimoni che avrebbero sparso indizi sui quali basarsi per trovarla.

Tutto avvenne velocemente, nonostante ci volle un giorno intero perché la buca potesse essere utilizzabile e nonostante la resistenza di coloro che capendo che quel monticello sarebbe diventato la loro ultima destinazione cercavano di scappare, obbligando i soldati a spostare manualmente i loro corpi nella buca dopo aver loro sparato nella schiena, sghignazzando. 

Per fortuna erano leggeri.

I più accettarono di rimanere in piedi davanti alla buca, cadendo in gruppi più o meno numerosi dentro di essa mentre già alcuni soldati rapidamente iniziavano a richiudere il fosso. 

L’ultimo bimbo non aveva un volto. Cadde nella buca senza proferire parola. Cadde come un uccellino che colpito su di un ramo si accascia al suolo nobilmente, come planando.

Ci vollero sei ore per chiudere la buca. 1188 persone non occupano poi tanto spazio in fin dei conti. Avevano sopravvalutato la grandezza della buca necessaria. 

Consumarono tutte le munizioni dei mitra e dovettero usare anche i colpi delle Luger d’ordinanza.

La montagnola sembrava un poco smossa, ma nell’arco di breve tempo sarebbe stata ricoperta dall’erba. Nessuno avrebbe parlato. Ognuno aveva ordinato o aveva partecipato attivamente all’Operazione.

Questo era il modo in cui l’Ordine operava. Come prima cosa ti coinvolgeva personalmente, facendoti sporcare la mani di sangue, e accuratamente conservandone le prove, dopodiché eri loro per sempre.

Almeno per questa vita.

Tornando al Campo pensò che alla fine aveva smesso di vedere il volto del bimbo. Ma non si sentiva ancora bene. Forse perché gli Americani e i Russi stavano per arrivare. Era normale. Ma non sentiva che quella fosse la risposta esatta.

1188. Non capiva perché in quel lavoro di tre ore avesse contato le persone che venivano uccise, una per una, senza una matita ne un taccuino. A mente. E sapeva di non avere sbagliato nel conto.

Nei restanti sei mesi solo il buio. 

Un buio inconsapevole dove le cose avvenivano in un grande palco in cui lui era una marionetta con i fili tagliati. Buio al processo, buio davanti al boia che doveva infilargli il cappio al collo.

Gli chiese se voleva il cappuccio. Questo semplice atto di gentilezza lo commosse. Piangeva per la prima volta da quando era bambino. 

Qualcuno che stava per porre a termine la sua vita mortale gli chiedeva se volesse vedere o no qualcosa nei momenti in cui lo separavano dall’abisso. 

Una gentilezza ed una scelta che lui stesso non aveva mai offerto a nessuno. 

Era un Ebreo a chiederglielo. 

Rifiutò ringraziando il soldato e dalla sua bocca uscì un “Dio perdonami per quello che ho fatto”.

Poi lo schiocco e un lampo bianco.

Poi il niente. 

Si, qualcosa ora iniziava a vedere, il bimbo sorridente era riapparso ma si allontanava. Lui cercava di raggiungerlo ma inevitabilmente cadeva, senza appigli. 

Il bimbo andava in alto, lui in basso, lo perdette di vista ma sapeva dove si trovava, era quella stella luminosa che ora non riusciva più a vedere, ma di cui conosceva l’esistenza.

In quel momento comprese che il Sole Nero verso cui stava sprofondando era l’unica cosa di cui avesse mai avuto paura. Prima ancora di sentirlo nominare.

Ma ora era tardi.

Per fortuna ora conosceva la posizione del bimbo. Era in sù. Forse avrebbe dovuto lavorarci molto, ma si ripromise di ritrovarlo se mai avesse potuto. 

Se mai ne avesse avuto la possibilità. 

Perché era certo di non meritarla.

L’unica cosa che sapeva di volere era un’altra possibilità di giocare felice con un bimbo, come un bimbo.

G

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